La competitività, la voglia di rivalsa, sono caratteristiche intrinseche del genere umano sin dagli albori. Il motore che sprona la nostra specie, ormai in cima alla catena alimentare, a ricercare quel brivido viscerale dato dall’adrenalina. Questo, probabilmente, oltre a una passione radicata e a un gran ingegno hanno portato nel 1878 alla prima corsa automobilistica legale della storia. I due veicoli in gara erano delle locomotive da strada a vapore, prototipi.
I due veicoli in gara erano delle locomotive da strada
a vapore, prototipi. Il premio, erano 10.000 dollari stanziati dallo stato del Wisconsin che
cercava un’alternativa più veloce ed economica ai cavalli. Duecento le miglia da
percorrere su strada sterrata. I mezzi pesavano uno meno di 4,5 tonnellate, e l’altro 6,3
tonnellate, avevano 12 cavalli e portavano su un rimorchio delle taniche d'acqua perché
avevano un’autonomia massima di 10 miglia. La gara durò 33 ore e 27 minuti, un
tragitto che con mezzi e strade moderne si percorrerebbe in 4 ore circa. Questa prima
corsa diede il via al mondo delle corse automobilistiche e alla loro evoluzione nel tempo,
coinvolgendo l’Europa, anche se, quasi con un ventennio di ritardo.
La prima corsa Europea fu la Parigi-Rouen nel 1894, un anno dopo, anche l’Italia si unì al mondo delle
corse automobilistiche con la Torino-Asti-Torino, in gara solo cinque veicoli tra cui auto a
benzina e a vapore, omnibus e biciclette a motore. Negli stessi anni, in un piccolo paesino in provincia di Mantova, nasceva il quarto figlio di un agricoltore aspirante ciclista professionista, Arturo Nuvolari, che nonostante alcune
vittorie non eguaglierà mail il fratello Giuseppe.
Quest’ultimo trasmise al nuovo arrivato
la passione per la velocità e la competitività, che si riversò come un fiume in piena nel
mondo delle corse automobilistiche dopo che, appena dodicenne, assistette al passaggio
della gara sul Circuito di Brescia. Come si suol dire: fu amore a prima vista.
Così cominciò la sua missione: convinse lo zio Giovanni a insegnarli a guidare la
motocicletta. All’età di 13 anni, in piena notte, rubò la macchina del padre.
Non supererà i 30 km orari, ma tonerà a casa incolume e con l’auto intatta cosa che per lui,
vedremo in seguito, non sarà così scontata. Riesce a perseguire il suo intento di rimanere
al volante nonostante l’avvento della prima guerra mondiale e la leva obbligatoria,
guidando ambulanze e vetture di servizio tra la prima linea e le retrovie del fronte
orientale avendo così il suo primo incidente, ma non demorde.
All’età di 28 anni ottiene la licenza di corridore motociclista, alcuni lo considereranno già vecchio, ma a lui non importa, al posto del sangue ha la velocità che gli scorre nelle vene, indipendentemente dalle due o dalle quattro ruote. Dovrà sgomitare e cercare di emergere per tre anni prima di riuscire a essere finalmente considerato un pilota professionista alternando successi sulle due ruote a ritiri sulle quattro, con alcuni piazzamenti di spicco.
All’età di 32 anni incontra Enzo Ferrari, che l’anno successivo lo invita a provare l’Alfa Romeo a una sessione di prove a Monza. E’ il 1925 anno che mette in risalto il genio e la pazzia del Nivola, oltre alla sua smisurata passione, la P2 testata a Monza si era rivelata una bestia mitologica per niente docile, lo aveva lasciato fisicamente distrutto, al punto da essere ricoverato a causa di varie ferite.
Nonostante ciò, 12 giorni dopo, con un braccio ingessato, vincerà il
G.P motociclistico delle Nazioni. Questo sarà il suo anno d’oro delle due ruote.
La sua carriera è costellata d’imprese straordinarie al limite dell’inimmaginabile, un tango
costante con il dio della morte, tra sfida e sottomissione, senza freni ne paure.
Dopo anni di vittorie nel mondo del motociclismo Tazio punta tutto sull’automobilismo,
nel 1928 fonda la Scuderia Nuvolari, composta da quattro Bugatti Gran Prix e tre piloti,
tra cui di spicco la sua nemesi Achille Varzi.
Nel 1930 arriva la svolta, Nuvolari corre la mille miglia al volante dell’Alfa Romeo 6C
1750 GS, ed entra ufficialmente a far parte della neonata Scuderia Ferrari.
Da azione di protesta a pietra miliare della storia delle corse non si può sorvolare su
quella che viene oggi ricorrentemente appellata come “La corsa più bella del mondo”.
Nata nel 1926 da un’idea di un quartetto singolare bresciano indignato per la mancata
assegnazione del Gran Premio d’Italia alla loro amata città. Oggi trasformata in una vera
e propria rievocazione storica a tappe, che segue gli stessi 1600 km che collegano
Brescia a Roma e ritorno. La mutazione è avvenuta dopo il 1977, dove da gara di
velocità su strada è diventata una gara di regolarità in cui sfilano dei veri e propri pezzi di
storia su ruote, ma prima di questa trasformazione la mille miglia era paragonabile a
un’odissea, dove i piloti, al pari di Ulisse e dei suoi compari affrontavano intemperie,
strade sconnesse, inconvenienti fisici e meccanici, tutto per tornare esattamente nello
stesso punto da cui erano partiti. La mille miglia ci regalato ormai da anni miti ed epopee
travolgenti che hanno trasformato in leggenda piloti e auto.
E parlando di miti o leggende che sono state forgiate o che hanno forgiato questa
meravigliosa corsa possiamo solo rinominare il Mantovano Volante, che ha lasciato un
segno indelebile in quel 1930 non solo per la vittoria, per aver segnato un nuovo record
percorrendo i 1600km con una media superiore a 100 km/h, nel suo caso si può dire
che le buche in strada si sono formate dopo il suo passaggio e la polvere che investiva
gli altri piloti era solo colpa sua.
Polvere, che per la prima tappa, non ha di certo investito il suo ex compagno di scuderia
e nemesi per eccellenza Achille Varzi, suo opposto nelle corse e nella vita privata da quel
che si vociferava. Se da una parte Nuvolari era sconsiderato e folle alla guida, tanto da
dichiarare che i freni gli facevano solo perdere tempo, Varzi era di una precisione
millimetrica nelle curve e nel controllo del suo veicolo, dove uno non controllava
neanche la pressione delle gomme l’altro si accertava che ogni bullone fosse a posto. La
loro carriera è costellata di sfide e sgambetti, come cavalli da corsa che scalpitano e si
scalciano durante un palio, così loro, sia come compagni di scuderia che come avversari.
Questa corsa fu lo smacco più grande per Varzi, che, alla partenza dell’ultima tappa, si
trovava in testa di dieci minuti e comunque vide il titolo scivolargli tra le dita. Il
mantovano volante alla partenza si mise all’inseguimento della sua preda, dopo curve e
rettilinei percorsi sfidando le leggi della fisica, all’imbocco di un rettilineo vide in
lontananza i fari della sua nemesi. A questo punto, recuperato il distacco, il cronometro
sanciva già il vincitore indipendentemente dalle posizioni, ma un cavallo matto e pur
sempre un cavallo matto, non accetta che qualcuno gli stia davanti. Tazio rispolvera una
vecchia tecnica imparata durante la guerra e per non farsi percepire spegne i fari e
rimane lì, seguendo la sua preda da lontano, in attesa del momento opportuno.
Momento che arriva quasi alle porte di Brescia, accende i fari, lo sorpassa e taglia il
traguardo lasciando Varzi a mangiare la sua polvere.